Visualizzazione post con etichetta di ventre. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta di ventre. Mostra tutti i post

giovedì 27 agosto 2015

XVIII – QSp – KSp

“La mia unica realizzazione sarebbe la realizzazione della vacuità.”

Sei completamente seduta sul tuo progetto. Come sempre determinata, l’intento ben radicato mentre apprendi. Una spada forgiata dalla determinazione. Lì lo sguardo, con una precisa determinazione.

Forse l’unica scelta. Forse l’immagine di una volontà implacabile.

Affilata, d’acciaio. Tenuta da una mano paziente, protetta da un elsa forte, intelligente: non hai che da sferrare una stoccata, non hai che da sferrare una stoccata e intanto ti proteggi.

Alle spalle il Re. Del tuo seme. Determinato e spada in resta, elsa d’ottone, pesa, ferma e sicura, retta da una mano divisa fra la conservazione e l’istinto. Stoffe che nascondono l’impugnatura: quasi completamente. Quel blu, denso e scuro è una coda del mantello della Regina.

Le copre la gamba, Le scalda la schiena.

Lei, lì, mette uno scudo, la mano ferma e sana: a protezione delle viscere.

Il Re guarda altrove. Poggia con una pazienza determinante, aspetta la fine d’ogni rituale e gesto, assolve con mano ferma ogni contesto, giovane e risoluto come un insetto.

Alla sinistra della Regina, oltre la spada, c’è il cane avido, primo sulla destra. Protegge il prato e s’impone a prima vittima nel caso alla Regina cada il colpo, s’intende.

Tre Arcani sono parte di una vacuità. Parte di uno scherzo dei contrari.

Considerazioni in base a simboli relazionati nella più arbitraria delle associazioni: l’impressione, mia Regina, non come oracolo: piuttosto per sangue. E simile. Carni. Piuttosto il letto, ammesso, dietro l’augusto siparietto imbastito, come sempre, alla fine delle recite. E che van fatte. Cani. Rettili.

Mi consola lo scudo, determinazione e forza. Non mi sorprende Signora.

Ogni cosa è portata dall’Intento. Decidere quando calar la spada. Una tentazione e che prude.

E’ un buon momento?

Posso farlo anche mentre Lui non guarda?

E.


Una volta che avrò sferrato il colpo, cosa tratterrà la sua mano dal non fare altrettanto?

sabato 24 gennaio 2015

La scelta dell'Eremita

La luna, come il sole del resto, ha una faccia. Essa guarda. Ricettiva per eccellenza e femminile.
Può essere un porto cui approdare. Rigoglioso quanto disseminato d'indizi, dal quale vedi oltre.
Può essere terra fertile e sicura, alle spalle.
Due scelte. Una legata all'altra e successive. L'altra subìta probabilmente per le conseguenze dell'aver scelto l'una.
Per andare oltre serviranno sangue ed ingegno: nell'ordine.
Le due fiere si affrontano ed andare oltre è impossibile se non affrontandole entrambe.
La prima è terrena. Un'azione, una presa di posizione compiuta con la  supponenza del buon investimento, se non del pensare che ci possa essere un cielo stellato a vegliarti.
Ammetti che si è trattato di un modo per trattemerti qualcosa, piantarlo a terra. Con il motore acceso, pronto, ma che non ti muove di un millimetro da dove sei perché è tutto il resto che ti fai girare intorno: allora potrai passare.
La seconda bestia sarà subito lì dietro.
Accettarla l'unico modo per vincerla.
Comprenderla.
Per questo sarà stato così importante togliersi di dosso l'arroganza che fino ad ora ti bloccava.
La strada é imboccata, tornare indietro impossibile, il giudizio inappellabile e compimento.
La realizzazione, in bene o in male di una vita a portata di mano.
Forse un'illuminazione, una presa di posizione, una condanna, un fulmine.
Qualcosa che rimette in moto il semplice piacere di vivere dopo la promessa che tutto può succedere.
La possibilità di farlo.
L'alternativa: una placida compiacenza liquida.
In effetti non male, con molti sogni ed alte torri all'orizzonte.
Un gran bel gilet.
Ma l'alternativa!

Mentre Lei guarda.

( XX - XVIII - VII)

mercoledì 16 febbraio 2011

Delle notti insonni




Scrivo questo pezzo come uno sfogo. Prima, durante una notte insonne, poi ripreso in un aperiTICCIO mancato, cercando di rimetterne insieme le frasi sconnesse che avevo sparpagliato su di un fogliaccio. Non mi posso permettere un'analisi critica perché sono di parte, perché ormai vedo nell'affermarsi PERSONALE l'unica VERA forma di lotta possibile. Perché nel quotidiano cercarmi ho trovato come unica risposta una disobbedienza fatta di prese di posizioni, di lotte che devono essere affrontate come una soluzione diversa che serva come esca e lume per attirare gli affini per creare nuove comunità, da unire, nel più puro spirito di questo nostro nuovo XXI secolo, fatto d'essenze autodeterminate.
La nuova lotta dovrà essere combattuta contro noi stessi.

"L'ampliamento. Portare l'affermazione dell'avversario al di fuori dei suoi limiti naturali, interpretarla nella maniera più generale possibile, prenderla nel senso più ampio possibile ed esagerarla; restringere invece la propria affermazione nel senso più circoscritto possibile e nei limiti più ristetti: perché quanto più un'affermazione diventa generale, tanto più essa presta il fianco ad attacchi [..];
Usare l'omonimia per estendere l'affermazione presentata anche a ciò che, al di la del nome uguale, poco o nulla ha in comune con la cosa in questione; poi darne una confutazione lampante, e così fingere di aver confutato l'affermazione [..];
Se l'avversario ci sollecita esplicitamente a esibire qualcosa contro un determinato punto della sua affermazione, ma noi non abbiamo nulla di adatto, allora dobbiamo svolgere la cosa in maniera assai generale e  poi parlare contro tali generalità. Ci viene chiesto di dire perché una determinata ipotesi fisica non è credibile allora parliamo dell'illusorietà del sapere umano e ne diamo ogni sorta di esempi."
Shopenauer, l'Arte di ottenere ragione

Quanto è importante ammaestrare la lingua! Disciplinare l'attenzione, dilatarne il significato fino a che sia così rarefatto da risponderti attraverso il generico specchio di un innocuo assunto ideologico: piponeggiante d'ovvietà e retorica.
Con il più asinino dei pigli siamo bersagliati dai nostri esponenti politici del più blaterante dire niente a fronte di un mondo sempre più complesso, che avrebbe bisogno di ben altra profondità, di una cultura e sensibilità affilata, in grado di sezionare non soltanto l'umore di un popolo, ma le derive stesse di una società i cui valori non sono più l'ottocentesca corsa al benessere, ma un groviglio di macro-entità in evoluzione, un fiume, un mare debordante di opinioni, di affermazioni d'identità.
Purtroppo aspettarsi qualcosa di simile ad una presa di coscienza dal branco di incompetenti loschi figuri che ci governa non è, al momento, che una lontana e sciocca utopia.
Questo esercito di droidi ( libera citazione dell'Andrea Scanzi, Micromega On-Line) si porta la propria lordura sul viso.
La realtà è che il proscenio è ingombro di individui che, alla giusta richiesta di spiegazioni di un giornalista, a domande che permetterebbero - perché no? - di chiarire fraintendimenti, errori di interpretazione, domande finalizzate ad alimentare il sano confronto dialettico che sta alla base del costrutto mentale su cui si basa ogni forma di analisi sociale, politica, di cui si ciba il pensiero per sviluppare un ragionamento che sia più complesso di uno show panettone da sabato sera, a questo ci hanno costretto ad assistere: alla farsa dell'interlocutore che da del mafioso al giornalista. Che grida, folle di rabbia, violento, pateticamente idrofobo.
Vedere questo è degradante.
Rendersi conto che questo è studiato, calcolato, lo è ancora di più.
E non ci vuole Di Pietro per sapere che si può essere analfabeti e non fascisti.
Il pietoso spettacolo di un ministro della Repubblica ( e voglio impormi ancora a mettere la maiuscola a questa parola che hanno deturpato e reso risibile) che urla: VIGLIACCHI! ad un'intera tribuna di giovani, in televisione, in merito ad una questione così delicata come il rapporto tra il popolo di piazza, i manifestanti, e l'ordine pubblico, non è che una palese dimostrazione di inadeguatezza professionale, umana e politica.
L'unica cura alla grottesca dimostrazione di questi signorotti che proteggono il proprio feudo è l'epurazione morale. L'applicazione di uno spietato raziocinio che renda impossibile la proliferazione di questi esseri anomali. E' necessario un antidoto di eccellenza, è diventato necessario sradicare i bugiardi, i ladri che non hanno bisogno di rubare, gli infami hanno lo stipendio garantito dal sudore delle nostre fronti, auto e scorta che li proteggono.
Prima che della nostra dignità non rimanga più niente.
Non c'è che una risposta da opporre: il mento alto, l'intelligenza, la cultura, la sensibilità che accarezza le mani ed i volti, la critica selvaggia di chi non piange e non chiede ma vuole e sogna, lotta.

"Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti."
Antonio Gramsci    

da vedere ci sarebbe...

domenica 21 novembre 2010

Lettera al sangue grigio (epitaffio per una menade)

marylin

È di un’accecante inutilità la prima visione, quando finalmente torni indietro, la tridimensionalità del colore, l’ampiezza e la forma dell’abbagliante consistenza di una realtà che per un attimo diventa comprensione del tutto quanto della pochezza di essere.
Lo sbadiglio arruffato d’ossigeno d’un corpo che torna.
Vibrante e chimico.
Sufficiente e preciso.
Seduto, calmo, da qua posso sentir tradotto lo strappo della tua femminilità, della dipendenza, della carne grigia, fibrosa.
Furono le tue mani d’acqua e argilla che plasmarono nuovamente il mio odio, prima di cadere nell’innocuo misurasti il mio spirito dal polso all’anulare, negando errore, come una tela, una malattia, tessuta e luminosa come filaria, intorno al mio cuore, una tela di nervi lucida e nuova.
Metallo urlante. Un lucido specchio la materia, e tutto è più leggero di te.
Accompagnato dal mio nuovo splendido corpo non faccio alcuna fatica nel mettermi nei tuoi panni perché ogni disperazione ed insicurezza, ogni paura del conseguente, la dimenticanza e la boria che cavalca il momento a pelo, l’arroganza imprecisa dell’eletto, l’incuria bestiale del cane alfa quando il mite retrocede, non è che la prima scelta sbagliata della nuova carne. Non dell’animale che sgomita e si nasconde in branco per ritrovarsi.
Il sangue che ribolle lontano dalla normalità che tanto conforta è la chiave che apre la porta dell’evoluzione.
Cos’è l’insoddisfazione che ti marchia la fronte?
Come il primo uomo.
Non Adamo.  Scelse di combattere arrogandosi il diritto di essere.
Contro il padre.
Necessariamente.
Risalita e caduta. Dipendenza. Non esiste sostanza che possa straziarti le vene, non è che la condanna che meriti, un’altra catena che l’uomo pavido ti propose perché l’eternità dorata nascosta sotto il tuo seno esiguo finga di assomigliare alla triste rassegnazione del procreare, promuoversi, carpire, morire.
Vorrei poterti toccare. Rendere adesso le palme delle mie mani lisce come le tue che ricordo. Accarezzarti la schiena perfetta sussurrando la poesia del viaggiatore eterno, del primo apolide.  Orme nel deserto che non hanno storie da raccontare ma che aspettano il canto del vento per essere portate via.
La prima scelta.
È nel tuo prossimo risveglio che voglio credere, quando nuovamente l’ossigeno, franando, in frammenti, da questa realtà fragile ti esploderà nel petto come una rabbia incontenibile. Femmina finalmente. Incarnazione caotica di una celebrazione fertile e violenta. Menade di nessun dio. Furia primigenia senza lirismo viva.
L’ossigeno che torna.
La realtà fratturata che vivendo imparasti ad aggiustare, adesso senz’importanza alcuna piegata al tuo volere.
Conscia della tua forza. Prima.
Un canto che non osai mai, di carne fraterna.

martedì 1 giugno 2010

la lezione della storia, il Lupo della Fine


E' fatto divieto agli ebrei di concedere a Hitler vittorie postume
Emil Fackenheim

"Iddio ti salvi, vecchio marinaio,
dai demoni che ti tormentano così!
Perchè cambi espressione?" "Con la mia balestra
io l'Albatro abbattei."
Samuel Coleridge, la ballata del vecchio marinaio


La storia ci dovrebbe aver insegnato la lezione della ciclicità, la preziosa consapevolezza della causa effetto e l'incantevole dono della memoria. Ogni passo che lo scarpone calzato della milizia umana, avanzando, affonda nel pantano della propria scoperta ancestrale, platee gremite di sudditi non si sono mai risparmiate dal cantare le lodi dei supposti potenti, ne il prostrarsi al loro cospetto.
La storia ci dovrebbe aver insegnato l'arte della pazienza, la natura il ciclico ritorno della carne alla polvere. L'inevitabile rivoluzione è scritta nel genoma umano. L'evoluzione della coscienza piegata. Il grido disperato che s'innalza oltre il chiasso dell'ultimo esercito. Una condanna, alta ed inclemente, è trascinata dalle mani guantate del persecutore, strattonata per i capelli arruffati, lungo un confine che è non è che una scia di sangue, da gasteropode. Un insetto sventrato la placenta, insettoide, livida, scorretta, che contagia la terra della vita che gli è stata strappata.
La storia ci dovrebbe aver insegnato la favola degli ideali, purtroppo ancora distanti, ancora spettatori. E' stata la tirannide la prima bestia a nutrirsene, moliplicare le sue forme. Spietata, micidiale. Si nutre di tutto, non può essere arrestata e diventerà grassa, e diventerà grande, imponente e distante, pigra tanto che ogni movimento sarà sempre più difficile da perseguire. Infine si mangerà, e noi con lei, di lei ci sazieremo, ne faremo banchetto e grandissima orgia. Diventeremo forti, prolificheremo.
Non riesco a smettere di pensare al Lupo della Fine, a Fenrir, a Elia. A Kundera che cercò una luna Moldava nella Senna. Ai sentimenti, troppo fragili, che si spezzano, ed ai corpi ancor più deboli e preziosi, che vanno a fondo, come l'equipaggio di Coleridge, abbattuti, dalla più tremenda delle maledizioni, ineluttabile.
Cibo per il mostro.

In Affordance

adesso

s'erge immemore l'insonne

s'erge immemore l'insonne

adesso

                             s'erge immemore l'insonne

per troppo idea, reimprime longitudine

come un cieco
come una follia

adesso

s'erge immemore l'insonne.

mercoledì 5 maggio 2010

Comici ebrei erranti



Credo nella scienza dell'individuo. Nell'imprescindibile legame tra uomo e lemma. La parola che ci condiziona. La parola espressa che diventa insieme all'individuo un codice e una ragione d'esistere. Siamo ciò che diciamo, espressione. La capacità di comunicare che la nostra specie ha evoluto ad arte e la retorica in metamorfosi. La sua prima ragione ricade come una condanna, inequivocabile. Innocenza e dovere non sono che il mondo.
Il limite divino di una coscienza che non si formerà mai.
Che riesco a non sopportare.
Non riesco a smettere di pensare a Klara, ai B52 che si confondono con il deserto, perchè il colore muta l'aggettivazione che la materia, di cui l'uomo ne ha fatto battesimo incontestabile, ne decise un destino che la stessa mano, d'uomo diverso, forse donna, cambiandone il significato,di morte inequivocabile, ne ha mutato la semplicità intrinseca, scelta che possa non essere che una condanna. Una meccanica letta, analogica, riflesso, luce, non sono che dipinti sul deserto, tracce volute nella profondità, fumo che giace.
Non riesco a smettere di pensare all'incredibile inconsistenza delle persone.
Cosa ti spinge ad essere?
Cosa sognavi?
Ragazza con i fianchi stretti.
L'iride riflessa nello specchio che la macchina fotografica rende immortale esita consapevole del suo nerissimo centro.
Non riesco a smettere di pensare ad una fredda determinazione.
Alla programmazione ad oggetti, arte interpretata che descrive un universo che risponde a regole prime, crea oggetti dall'astrazione di un'idea.
La prima regola è l'equilibrio straziante di uno stallo, risolta nel fluido che permette al corpo di muoversi, flettersi.
La seconda è non parlare mai del Fight Club.
Sento finalmente quest'angoscia diegetica, che ciclicamente mi attanaglia le viscere, svanire. Sono sempre più sconcertato nel notare che il minimo comune multiplo di questo lento tornare a galla è da sempre una mesta solitudine fatta di alcool e di sogni inquieti, di pagine scritte a metà e discorsi lasciati cadere; discorsi poi ripresi involontariamente, da voci che non ti aspettavi o da una carezza che non avevi chiesto mai.

In borsa ho una copia di Underword e come sempre l'eresiarca dell'apò, dietro suonano redivivi i Blind Melon che un amico mi  ha fatto notare che sarebbe il caso di riascoltare. Intanto soppeso quanto sia possibile tornare indietro, sempre più convinto che non lo sia, che tutto proceda comunque, che il ritorno non sia altro che l'ennessimo inganno che ci confessiamo in segreto solo per rendere tutto un po più sopportabile.
Come se fosse possibile avere una seconda possibilità.

Grullerie da zingaro

L'erede non ha che un nome che inizia per vocale.
La grida.
Aieoooooueeeeooo.
Imprime con i gesti
forma al vento.
Esprime l'erede
danzando d'eterno
un infinito movimento.
Respira
ma senza succhiarsi il fiato
AaaahhhaahhaA
l'aria che implode prima di uscire
come in attesa il canto.

Zingari scalzi
prescelti ignari
certi d'essere
animali.
Vergini calde
uomo ansimante
cane che abbaia,
ventre.
Urlo che appaga
senso, luce.

Rima attesa
e salto ignaro
e ressa di corpi
e invoca la passione, l'aria
ruba forma al vento
imprime al fiato il canto.

AieoooooueeeeooO!

Ruba un istante
della danza un passo
scalzo sulla terra
fuoco
grida
vita e lo zingaro ride in strada.
Canta.

sabato 6 febbraio 2010

tutti scrivono tutto

amo scrivere. amo scrivere perchè amo il pensiero. amo il pensiero perchè amo le idee. amo le idee perchè amo i mondi ed amo le storie. l'uomo cresce attraverso la cumunicazione, attraverso la condivisione delle proprie disfatte e delle proprie insicurezze. attraverso i sogni, veicolati in metafore, la decodifica del segno. l'impronta unica, l'ultima verità che rende chi siamo attraverso un mezzo che non fa distinzioni di razza, d'educazione, né di lingua o religione.
se potessimo curiosare in tutti i cassetti appartenenti alla nostra povera, piccola e bestiale razza, troveremmo un tesoro fatto di poesia, di storie e di mondi. finalmente saremo forse in grado di decodificarci, estrarre il divino dalla pochezza che il tempo ci permette di sfruttare, dimenticarci del brutto concetto d'immortalità che preti, materialisti, signori della morale e degli anelli, i buoni e le loro masse di tuttotenenti e nullimmagino, forse anche di creare una felicità.


avete fatto caso che in fondo a questo mucchio di sciocchezze si trova questo simbolo?








si chiama Common Contents


e vuol dire che potete fare quello che vi pare di quello che scrivo se proprio ne avete voglia, basta che citiate la fonte. ed io non vi denuncerò!
fu nell'800 che un certo Signor James Watt - quello dei cavalli vapore per intenderci - inventò una macchina che, nella sua evoluzione, avremmo poi chiamato fotocopiatrice. era un momento importante. dopo il ciclostile la tecnica rubava alla mente l'unicità del suo prodotto. una specie di rivoluzione industriale del pensiero. poi sono cresciuti sempre di più il mercato, il capitalismo, i bisogni ed altre simili barbarie. poi, la proprietà intellettuale, il copyright.
non esiste crescita senza condivisione, educazione senza comunicazione, creazione senza cooperazione.
non riesco a smettere di pensare ai dada ed ai cadavrexquis, al collettivo dei wu-ming e a coloro che vedono nell'arte del divenire la vera evoluzione di una mente collettiva, più grande e divina del singolo, da troppo ferma nel pantano della vanità ( perchè no? condiviamola questa vanità, sarò sicuramente più divertente).
non posso fare a meno di girovagando per blog, in questo mare senza Nord che è la rete. a volte capita di imbattersi in qualcosa che, davvero, non aspettavi. non credo che la Scrittura Industriale Collettiva sia un caso, una derivata del web 2.0, ma il segno di un cambiamento: personale, sociale.
l'idea è quella del fordismo (non ve lo linko, sbattetevene), della catena di montaggio, delle produzioni cinematografiche: in pratica è un moloc che si nutre della carne dei tanti e forse crescendo si mangerà gli avanzi rancidi di questa sghemba realtà editoriale.
a voi la curiosità, non ditemi poi che ho taciuto. qua c'è pure un manuale, il resto è da immaginare e far crescere. insieme.

giovedì 4 febbraio 2010

dell'arte m'importa una sega

parlare di arte è sempre difficile, perchè facendolo si scomoda il concetto stesso di esistenza; inevitabilmente ci si affaccia oltre le ripe scoscese della visione comune, oltre quel muro sottile di cui hanno cantato i Floyd, oltre il quale, saltando nel vuoto, hanno perso vita e la ragione mentale tanti e tanti grandi uomini e donne che furono. vivere il salto non è soltanto più arduo, ma definitivo, implica una scelta d'entusiasmo ( dal greco antico enthusiasmòs, formato da en (in) con theos (dio). Letteralmente si potrebbe tradurre con "con Dio dentro di sé", o "indiamento", "invasamento divino"), il più grande dei sacrifici: perdersi.

quante volte avete parlato del significato di questa parola? io ne ho parlato al bar e a letto, ho litigato a Valencia sul bancone di un pub, me lo sono chiesto di fronte allo specchio guardandomi nel mio cubismo d'animale, l'ho chiesto ad uno stregone malato a praga e come risposta ne ho ricevuto solamente una piuma, persa,nella Moldava. l'ho chiesto al mio cuore morente, in un letto d'ospedale, e ne ho ricevuto solamente silenzio.

e ci penso ancora, non posso fare a meno di pensare ad un gruppo di Rostov sul Don che, nel 1920, pubblicò un manifesto che suonava così:

Manifesto del nullismo

Non scrivete nulla
Non leggete nulla
Non dite nulla
Non stampate nulla

e nel 1920, a Rostov sul Don, tutti i poeti erano nullisti.
adesso, semplicemente, non ci penso più. la risposta verrà da sola, mentre do l'acqua ai fiori, magari, oppure che ho una mezza fetta di torta in bocca, o la saliva di un bacio appena dato.
concludo citando i CSI

Eonica soap opera puntate quotidiane
Assegnate le parti corrono le comparse
Mimporta 'nasega sai
Ma fatta bene che non si sa mai
Mimporta 'nasega sai
Ma fatta bene che non si sa mai

perchè in qualche modo mi permettono di introdurre questo poco politicamente corretto pezzo, che non sarà mai un Haiku e che naque ascoltando i NOFX (ma non c'entra niente).
Firenze crepita in fiamme mentr'urlo sovrastandone il silenzio addormentato
MICA
DORMONO
MORDONO
ATTIMI

lunedì 1 febbraio 2010

la nuova carne e la cattiva politica

troppo spesso cadiamo nell'errore di crogiolarci in quel piacevole senso bianco che ci condanna, atavicamente, a relegarci come centro di un mondo. esseri in bilico sulla sottile linea che separa il reale biologico, schiavi, pressati, giudicati, indicati, e l'endemica sensazione di un mondo "altro". per alcuni una sensazione che ha il peso di un sospiro: per altri una condanna all'irrequietezza e all'insicurezza, senza soluzione né giustificazione possibile.
un postulato della psicologia sperimentale, recita: "l'allucinazione non è altro che lo scivolamento (lento o progressivo) da una realtà registrata dai sensi a un'interpretazione".
le percezioni a cui siamo soggetti ci impongono delle scelte che nella maggior parte dei casi non siamo in grado di affrontare. da una parte la giusta visione programmatica di un futuro a cui difficilmente possiamo dare un senso, dall'altra la pressante condanna che viene dall'umana esistenza. Partecipare o morire.
personalmente penso troppo spesso a Burroughs ed alla Nuova Carne: "Non esiste realtà vera o Reale" diceva il Prete, "non esiste Reale senza che Uomo lo sogni, il resto è cattiva politica" dico io e, in qualche modo, mi piace pensare che saremmo stati d'accordo.


Esita letizia

Sotto l’ombra di un nastro giallo
nascosti insetti d’argento
respinti dalle luci
vibrano ai respiri bassi delle lucertole nascoste,
fino al sole.

Restano indietro solo colori che avevo già tenuto
con in mano un cappello d’aria.
Gli uccelli non volano mai
con la pancia al cielo.

Stretto, non arreso
domo di un comodo conforto conosciuto
non sarà la stessa strada,
non io lo stesso uomo.

L’amore per la mia passione più triste
non cambierà le tue decisioni né il tuo dolore
né giacerò su questa stuoia di seta
come una troia insonne
né l’erba crescerà dalle mie carni
senza radici d’inumana essenza.

Non resteranno quindi che i sapori da lingua a bocca
l’azzurro elettrico, l’abbacinante giallo.
Srotolato come un tessuto
da oriente nasce un altro dolcissimo perdono.
Solo un bacio sussurrato sulla pelle, ancora.