mercoledì 18 settembre 2013

Lilith


"L'uomo è per natura superiore, la donna inferiore; 
il primo comanda, l'altra ubbidisce, 
nell'uno v'è il coraggio della deliberazione, 
nell'altra quello della subordinazione."

Aristotele, Politica, IV sec. a.e.c.


Dentro ad un cuore aperto non c'è niente. Catrame, piume, l'alba tracciata  da una suola guardiana, ferro ossidato e rosso trasportato come polline dal vento, ignaro, che sfiora le mie labbra ambrate. La prima luce del giorno taglia la nuvola pregna, corposa, di fumo, mentre le scivola dentro slabbrandola con i bordi infuocati dal suo silenzioso confine buio, ritratto infine oltre l'orlo amaro del cemento, incorniciando la grata bassa.

Smalto da tossica sfatta, a forza di grattar via quella patina sabbiosa dalle pareti, erette come le mura di Gerico ed io quasi senza il fiato per respirare in mezzo a questo macello. Le mie vocali un tempo rotondamente morbide, sezionate  dal plesso straziato nella contrazione della carne che ti grida attraverso: liberami! Fermami!

Non è che un bramito sforzato e basso l’ultimo inutile cercare di attirare qualcuno.
La ferrovia crepita e sbatte. C’è sempre un treno che passa.
La pelle viva che cade dallo zigomo è una marea che si ritrae.
Mi ha sbattuto la testa al suolo una volta. Poi un’altra. Mi ha sbattuto la testa al suolo, la testa. Prima di perdere i sensi ho sentito la croccantezza del volto assecondare la pietra d’improvviso bollente che m’entrava in faccia. Poi una stoccata di luce accecante proprio su dal naso, prima di perdere i sensi.  Mi sono risvegliata con il secondo colpo sul pavimento lurido, ma ormai non sentivo più niente, per quanto potesse importare mentre, bloccata a terra, lo sbattere di quei lombi impossibili non faceva che spingere verso di me sapore di sudore, di acqua di colonia e di cherosene.

Il terzo giorno m’infilò il pugno nel culo.

Non fu facile da far entrare, ma poi con un po’ di ketamina andò tutto meglio. Il giorno dopo, quando ripresi conoscenza, avevo il petto fasciato ed una macchia scura ed appicicaticcia all’altezza del seno, complice di un dolore pulsante e sordo. Mi svegliò che la notte era ormai caduta. Per ore, avevo sbattuto contro la porta urlando, chiamando il mio guardiano, implorandolo, cercando di blandirlo, ingiuriandone la stirpe, l’odore, la faccia come una bocca aperta ormai simile a cuoio e cromo, esploso, le nocche delle mani come carboni ardenti avevano lasciato il posto al livore angelico delle ossa, la mia richiesta sempre più flebile, fino a spegnersi…rendimi il capezzolo. Rendimi il capezzolo!

Ma la ferrovia crepita e sbatte. Perché c’è sempre un treno che passa.

I giorni non ci sono più. Catrame dentro ad un cuore aperto. Progressivamente, sempre più violento e distaccato, come un bambino ormai stanco della novità del suo giocattolo nuovo. Piscio e cinghiate. Oggetti in bocca e corde. La ketamina, l’eroina, il valium, il rohypnol e il darkene. Un rasoio, sotto la mammella. I pugni sulle tette, sempre. Ogni giorno pugni sulle tette e calci fra le gambe. Poi si è preso anche l’orecchio, un pezzo. Un trinciapollo nella destra e la mia fronte poggiata su di una coperta a quadri, che puzzava di gatto, tenuta ferma con l’altra mano.

Guarda che unghie, penso. Poi l’odore di fumo si fa più acre. L’unico occhio ancora aperto comincia a lacrimare mentre piano l’ossigeno se ne va, finalmente, dai polmoni brucianti, e tutto di fronte a me sfuma cremisi e s’accende.
Passa un treno. Tu-tum tu-tum delle longarine sotto le ruote d’acciaio. Sfila proprio dietro a queste mura invisibili, fischiando sempre più lontano.

Ed il fuoco non è dolore ma la promessa di una salvezza di cenere.
Sono solo una storia, come tale portata via dal vento, via dall'inferno che un uomo qualunque scelse per me.

Nota. aggiornato a settembre 2013

giovedì 5 settembre 2013

Verme (primo sacrificio)

Le Labyrinthe (1938) -  André Masson 1896-1987 - olio su tela 120 x 61 cm

 "tutta questa Natura divinizzata si pittura proprio come una puttana, le seduzioni della quale altro non coprono che l'intima corruzione; e se andiamo ancora più in là, e riflettiamo che il misterioso cosmetico che produce tutti i colori, il gran principio della luce, rimane in se stesso bianco o incolore, e se agisse sulla materia senza una mediazione darebbe a tutte le cose, anche ai tulipani e alle rose, il tocco vuoto della sua tinta; se pensiamo a tutto ciò, l'universo paralizzato ci si stende innanzi come un lebbroso"
Herman Melville - Moby Dick

Così vengo e imploro.

Mi perderò oltre gli scogli della più bianca follia
mettendo oltre, le mani tese coi palmi in su,
non solo una fiducia che ostenta suicidio
ma l'arroganza di scegliere una morte sorella, disarmandomi
con il tuo nome, rotolando
nel gustoso corpo di fango che i tuoi tanti amanti
spezzati, distrutti, abbattuti,
con le loro lacrime hanno impastato dalla terra
tanto che in flutti frustano salati
le interiora di un male amore
su cui sovrana regni.

Eretta tra la spuma bianco sborra
regina vergina puttana infante,
del mio corpo con una fragilità siderale
calzerò passi e scalderò membra
il sangue e con la carne, colpa corrotta
spingerò ben dentro le costole albine questa lama
affinché la tua sete non sia placata mai.

Che non è l'affetto ne pace o convivio che bramo
non puro non giusto non bello
solo dolore e quotidiana lordura merito, amo
che l'acciaio dritto incida i muscoli
che il sangue nero dalla bocca a fiotti inquini questo mondo inutile
con la pestilenza che covo dentro,
punito, insultato e deriso
malato, respinto e picchiato
più questo sporco male c'ho dentro non posso trattenere
questo soffrire opaco che tanto la gente
normale! - chiede.

Pulite sembianze, voi cellophane
igienizzati bastardi ipocriti e assassini
siete voi il mio più grande orrore.

Amore nero, grande boia cuore silicio,
non esitare ancora.

Dolce fata follia, legami come l'agnello che questi lamentosi insulsi
si tolgono dai denti.

Morte mia sposa decaduta, non essere pietosa
colpisci la mia carne trista, rampona decisa!

Mai mi sarà più dolce andare
finalmente liberato dal fingere,
oltre questo goffo mucchio di nervi
trasformato in niente.

Tornato figlio e sacrificio
tuo, stelle sarò per sempre.