mercoledì 23 giugno 2010

Presidenti del Globo Terrestre (II)







Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra (2 di 2)

D’ora in poi noi ordiniamo di sostituire le parole “Per grazia [divina”
con “Per grazia delle Isole Figi”.
E’ forse decente per il Signor Globo Terrestre
(sia fatta la sua volonta’)
incoraggiare il cannibalismo ecumenico
entro i confini di se stesso?
E non e’ servilismo senza limiti
da parte degli uomini in quanto mangiabili
proteggere il proprio Mangiatore Supremo?
Ascoltate! Persino le formiche
spruzzano acido formico sulla lingua dell’orso.
Se ci sara’ qualcuno ad obiettare
che lo stato degli spazi non e’ giudicabile
come ecumenica persona di diritto,
non obietteremo noi che forse l’uomo
e’ anch’esso uno stato: bimano,
di globuli sanguigni, ed anch’esso ecumenico?
Se gli stati sono perversi,
chi di noi movera’ un solo dito,
per prolungare il loro sonno
sotto la coltre del Per Sempre?
Voi siete malcontenti, o stati
e loro governi,
in segno d’avviso battete i denti
e fate piccoli balzi. E con questo?
Noi siamo la massima forza
e sempre potremo rispondere:
a sommossa di stati
sommossa di schiavi, -
con una missiva bene assestata.
Stando sulla tolda delle parole “Superstato della stella”
e non necessitando di bastone nell’ora di questo rullio,
chiediamo: chi e’ piu’ alto:
noi che, in virtu’ del diritto di sommossa
e inoppugnabili nel nostro primato,
servendoci della tutela delle leggi sull’invenzione,
ci siamo proclamati Presidenti del Globo Terrestre,
oppure voi, governi
di singoli paesi del passato,
questi prosaici residui caduti vicino a macelli
di tori bipedi,
del cui cadaverico umore vi siete unti?
Quanto a noi, condottieri di un’umanita’
da noi edificata secondo le leggi dei raggi
con l’ausilio delle equazioni del fato,
noi rinneghiamo i padroni,
che si spacciano per governanti,
per stati e altre case editrici
e ditte commerciali Guerra & C.,
che hanno appoggiato i mulini del dolce benessere
all’ormai triennale cascata
di vostra birra e di nostro sangue
dall’inerme onda rossa.
Vediamo stati ruzzolare sulla spada
per lo sconforto del nostro avvento.
La patria sulle labbra, sventolandovi
col ventaglio del regolamento bellico-campale,
avete con impudenza inserito la guerra
nel cerchio delle Fidanzate dell’uomo.
Ma voi, stati degli spazi, placatevi
e non piangete come ragazzine.
Come intesa privata di privati,
assieme alle societa’ degli ammiratori di Dante,
dell’allevamento di conigli, della lotta con le arvicole,
entrerete sotto l’usbergo delle leggi da noi promulgate.
Non vi toccheremo.
Una volta per anno potrete adunarvi in annuali adunanze,
passando in rassegna le forze che si rarefanno
e in base al diritto delle associazioni.
Restate dunque volontaria intesa
di privati, non necessaria a nessuno
e per nessuno importante.
Fastidiosa come un mal di denti
in una Nomina del XVII secolo.
Rispetto a noi voi siete
come l’irsuta gamba-mano d’una scimmia,
scottata da un recondito dio-fiamma,
rispetto alla mano d’un pensatore, che placida
governa l’universo,
di questo cavaliere della sorte sellata.
C’e’ di piu’: noi fondiamo
la societa’ per la difesa degli stati
dal ruvido e feroce trattamento
delle comuni del tempo.
Come deviatori
ai binari d’incontro del Passato e del Futuro,
guardiamo con uguale sangue freddo
alla sostituzione dei vostri stati con una
umanita’ edificata scientificamente,
come alla sostituzione d’una ciocia di tiglio
col bagliore di specchio d’un treno.
Compagni-operai! Non vi lagnate di noi:
come operai-architetti, noi andiamo
per una strada speciale ad un fine comune.
Noi siamo un genere speciale d’arma.
Dunque il guanto di sfida
di quattro parole “Governo del Globo Terrestre”
e’ gettato.
Intersecato da una rossa folgore,
l’azzurro stendardo dell’Anarchiam
stendardo delle albe ventose, dei soli aurorali,
e’ issato e sventola sopra la terra,
eccolo, amici miei!
Il Governo del Globo Terrestre!

mercoledì 9 giugno 2010

Presidenti del Globo Terrestre

 

Erano fogli di carta scritti, disegnati e stropicciati, appoggiati su di una spalla, tenuti dentro la federa di un cuscino. Erano gioielli rivoluzionari in una terra che stava per essere squassata dalla storia. Velimir Chlebnikov è purtroppo poco conosciuto nella nostra, ignorante patria, al limite citato (erroneamente) tra i futuristi russi. Leggerlo ancora più difficile. Ultimamente la Quodlibet ha pubblicato un libriccino che raccoglie alcune sue poesie dal nome 47 Poesie Facili e una difficile: è già qualcosa, ma poco dice di chi veramente era il Presidente del Globo Terrestre. 
Anni fa, invece, Enaudi aveva in catalogo una raccolta di poesie, adesso fuori produzione, introvabile. Sono anni che la cerco inutilmente. Disperato (eh si) e amareggiato avevo quasi abbandonato ogni speranza di poter di nuovo gustare le meraviglie nascoste in quella federa sdrucita, poi sono inciampato nel Nabanassar che, bontà sua,  sta pubblicando alcuni estratti (tratti da una copia ripescata su e-bay) dell'opera di Chlebnikov, ed in particolare  Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra.
Buona lettura.

 
Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra

Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra
in un cartoccio di minaccevole tromba,
cantiamo e gridiamo, cantiamo e gridiamo,
ubriachi del fascino di quella certezza,
che il Governo del Globo Terrestre
gia’ esiste:
siamo Noi.
Solo noi abbiamo calcato sulle nostre fronti
il serto selvatico di Governanti del Globo Terrestre,
inesorabili nella nostra abbronzata ferocia,
saliti sul masso del diritto di conquista,
alzando il vessillo del tempo,
noi – vasai che cociamo le umide argille dell’ umanita’
nelle brocche e nei bricchi del tempo,
noi – promotori della caccia alle anime
urliamo in canuti corni marittimi,
chiamiamo a raccolta gli umani armenti -
Evoe’! Chi e’ con noi?
Chi ci e’ amico e compagno?
Evoe’! Chi ci segue?
Cosi’ noi balliamo, pastori degli uomini e
dell’ umanita’, sonando il piffero.
Evoe’! Chi e’ piu’ grande?
Evoe’! Chi e’ piu’ avanti?
Solo noi, saliti sul masso
di noi stessi e dei nostri nomi,
fra un mare di vostre maligne pupille,
solcate dalla fame dei patiboli
e contorte dall’estremo orrore,
sulla risacca dell’urlo umano
vogliamo che ci si apostrofi e d’ora in poi ci si onori
Presidenti del Globo Terrestre.
Che sfacciati – diranno certuni,
no, sono santi, obietteranno gli altri.
Ma noi sorrideremo come dei,
additando con la mano il Sole.
Trascinatelo ad un guinzaglio per cani,
impiccatelo alle parole
“Liberta’”, “Fratellanza”, “Uguaglianza”,
processatelo al vostro tribunale di sguattere,
perche’ sulle soglie
d’una molto ridente primavera
ci ha ispirati questi bei pensieri,
queste parole e ci ha dato
questi sguardi sdegnosi.
Il colpevole e’ Lui.
Noi non facciamo che adempiere il bisbiglio solare,
quando verso di noi erompiamo come
capimandati dei suoi ordini,
dei suoi severi comandi.
Le pingui folle dell’umanita’
si stenderanno sulle nostre tracce.
Dove noi siamo passati,
Londra, Parigi e Chicago
per gratitudine sostituiranno i loro
nomi coi nostri.
Ma perdoneremo una tale stoltezza.
Tutto questo e’ di la’ da venire,
e intanto, madri,
portate via i vostri figli,
se apparira’ in qualche posto uno stato.
Giovani, saltate e rintanatevi nelle spelonche
e nel profondo del mare,
se in qualche posto vedrete uno stato.
Ragazze e chiunque fra voi non sopporta l’odore dei morti,
cadete in deliquio alla parola “frontiere”:
esse odorano di cadaveri.
Eppure ogni ceppo fu un tempo
una bella conifera,
un pino fogliuto.
Il ceppo e’ perverso soltanto per questo,
che su esso si tronca la testa agli uomini.
Cosi’, stato, anche tu
sei parola assai bella nel sogno,
composta di ben cinque suoni:
con molte comodita’ e refrigerio.
Sei cresciuto in un bosco di parole:
ceneriera, fiammifero, cicca,
pari tra pari;
ma perche’ si va nutrendo d’uomini?
Perche’ il paese natio s’e’ fatto cannibale,
e la patria sua sposa?
Ehi! Ascoltate!
A nome dell’intera umanita’
ci rivolgiamo con messaggi di pace
agli stati del passato:
se voi siete splendidi, o stati,
come amate narrare di voi stessi
e di voi costringete a narrare i vostri famigli,
allora perche’ questo cibo agli dei?
Perche’ scricchiamo, noi uomini, nelle vostre mandibole,
tra zanne e denti molari?
Ascoltate, stati degli spazi,
ecco ormai da tre anni
voi fate finta
che l’umanita’ sia soltanto una pasta,
un dolce biscotto che vi si scioglie in bocca;
e se il biscotto scattera’ come un rasoio, dicendo, mammina?
Se lo spargeremo di noi,
come d’un tossico?


Continua (1 di 2)

lunedì 7 giugno 2010

Un silenzio perfetto


Pubblico un pezzo vecchio, un po per pigrizia un po perchè il lunedì, e questo in particolare, sento sempre il bisogno di fare il punto e ricordare. Un silenzio perfetto ha preso diverse forme dal suo originario sfogo cartaceo: è stato postato in laboratorio con i meravigliosi colleghi di iridelapsus insieme alla Sidda (leggere per credere quant'è ispirata questo gioiellino di abitatrice del Mugello), è stato barattato in cambio di un ritratto a pastello, una sera che provammo a cercarci ancora una volta, in fondo all'arte precaria - memoria spezzata sotto i colori tenui, infranta di sogno tradotta dalla leggenda -, è diventato reading insieme agli Sparflatz evolvendosi insieme alle note rubate, volta per volta, all'improvvisazione e quindi al momento, nuova ad ogni battuta( e per questo mutata e confortante).

Sostanzialmente non è che una storia inventata, senza più importanza, come i ricordi evaporati insieme all'alcool e all'alba.

nell'immagine:  Bartolomé Esteban Murillo, "Ragazzi con meloni e grappoli d'uva"


Un silenzio perfetto


Il riverbero dell'alba sulla bottiglia dipinge la parete della stanza di una indefinita immagine tremolante. L'aria, adesso in quiete, accarezzata dal calore scisso dai corpi, finalmente tornata libera, sgranchisce attraverso uno spiraglio gelido le sue ali, libere dal fiato, dal sudore.
Corpi bagnati e caldi che respirano lenti nella tranquillità della città addormentata.
In strada, il passo strascicato di chi va a lavorare, di chi torna a casa dopo una serata di festa, rimbomba regolare, sommesso, attutito solamente dai drappi chiari appesi al soffitto, dalle lenzuola crespe.

Non esiste la malinconia nel corpo fremente che le prende i lombi. La schiena tesa nel supremo sforzo di aprirsi, i fianchi, nascita del mondo e giudizio inappellabile della carne, come una viola vibrano. Basso di piacere. Estasi che dal sangue s'alza, strazia, sublime, e perfezione, piacere che invade. Partecipazione che finalmente, nell'inganno, non ha bisogno di una scelta, perché la decisione ha preso la maschera terrificante, preziosa, ineluttabile, della follia.

La tenebra. Compagna, custode. Da te, mani che non strinsero che sabbia, s'ergono. La perfezione come amalgama del desiderio, modella l'inconsistente oblio. Di te l'insicurezza, il latrato di cane, in cagna ansante, in me, in cane mutato, come uno stregone che scopa la luna. Sperma perfetto su corpi perfetti.

I membri tesi come lance dipingono con la loro ombra la venusiana regina. La concitazione dei denti traccia nuovi confini sulla pelle scura di lei, che vibra come rettile in procinto d'abbandonare la vecchia e lacera, inutile,forma.
Nuovi umori tracciano nuovi sentieri. Il piacere definitivamente evapora da sé per l'incomprensibile timore del possedersi, la nuova carne risponde inattesa al primo dei bisogni, incontra finalmente la sua più profonda vittoria: Sublima.

L'abbraccio, stretto. Velluto e ruvida sensazione, dolcezza, disperazione. L'inconsapevole così determinatamente cercato. L'insicurezza che diventa morbidissima preda.

La verità non grida che vocali.

La luce del mattino taglia obliqua la stanza sfatta. Il cremisi del giorno nascente, giunto, borioso, con il suo fardello di perdono, non può che allontanarsi seguendo i passanti impazienti.
Non è più notte. Ogni timidezza nascosta non può che arrossire alla malizia dei giorni che verranno.

Rimane solo il profumo a galleggiare nella stanza silenziosa.
Solo sensi, come dita di una mano, pudicamente nascosta in tasca.
Ricordo il mio corpo, nudo. Finalmente perfetto. In uno sforzo, ultimo, per chiudere quella fastidiosa finestra e rimanere ancora un po' al buio, al silenzio, avvolto di niente se non sudore.
Finalmente perfetto.

In un silenzio perfetto.

martedì 1 giugno 2010

la lezione della storia, il Lupo della Fine


E' fatto divieto agli ebrei di concedere a Hitler vittorie postume
Emil Fackenheim

"Iddio ti salvi, vecchio marinaio,
dai demoni che ti tormentano così!
Perchè cambi espressione?" "Con la mia balestra
io l'Albatro abbattei."
Samuel Coleridge, la ballata del vecchio marinaio


La storia ci dovrebbe aver insegnato la lezione della ciclicità, la preziosa consapevolezza della causa effetto e l'incantevole dono della memoria. Ogni passo che lo scarpone calzato della milizia umana, avanzando, affonda nel pantano della propria scoperta ancestrale, platee gremite di sudditi non si sono mai risparmiate dal cantare le lodi dei supposti potenti, ne il prostrarsi al loro cospetto.
La storia ci dovrebbe aver insegnato l'arte della pazienza, la natura il ciclico ritorno della carne alla polvere. L'inevitabile rivoluzione è scritta nel genoma umano. L'evoluzione della coscienza piegata. Il grido disperato che s'innalza oltre il chiasso dell'ultimo esercito. Una condanna, alta ed inclemente, è trascinata dalle mani guantate del persecutore, strattonata per i capelli arruffati, lungo un confine che è non è che una scia di sangue, da gasteropode. Un insetto sventrato la placenta, insettoide, livida, scorretta, che contagia la terra della vita che gli è stata strappata.
La storia ci dovrebbe aver insegnato la favola degli ideali, purtroppo ancora distanti, ancora spettatori. E' stata la tirannide la prima bestia a nutrirsene, moliplicare le sue forme. Spietata, micidiale. Si nutre di tutto, non può essere arrestata e diventerà grassa, e diventerà grande, imponente e distante, pigra tanto che ogni movimento sarà sempre più difficile da perseguire. Infine si mangerà, e noi con lei, di lei ci sazieremo, ne faremo banchetto e grandissima orgia. Diventeremo forti, prolificheremo.
Non riesco a smettere di pensare al Lupo della Fine, a Fenrir, a Elia. A Kundera che cercò una luna Moldava nella Senna. Ai sentimenti, troppo fragili, che si spezzano, ed ai corpi ancor più deboli e preziosi, che vanno a fondo, come l'equipaggio di Coleridge, abbattuti, dalla più tremenda delle maledizioni, ineluttabile.
Cibo per il mostro.

In Affordance

adesso

s'erge immemore l'insonne

s'erge immemore l'insonne

adesso

                             s'erge immemore l'insonne

per troppo idea, reimprime longitudine

come un cieco
come una follia

adesso

s'erge immemore l'insonne.