mercoledì 5 maggio 2010

Comici ebrei erranti



Credo nella scienza dell'individuo. Nell'imprescindibile legame tra uomo e lemma. La parola che ci condiziona. La parola espressa che diventa insieme all'individuo un codice e una ragione d'esistere. Siamo ciò che diciamo, espressione. La capacità di comunicare che la nostra specie ha evoluto ad arte e la retorica in metamorfosi. La sua prima ragione ricade come una condanna, inequivocabile. Innocenza e dovere non sono che il mondo.
Il limite divino di una coscienza che non si formerà mai.
Che riesco a non sopportare.
Non riesco a smettere di pensare a Klara, ai B52 che si confondono con il deserto, perchè il colore muta l'aggettivazione che la materia, di cui l'uomo ne ha fatto battesimo incontestabile, ne decise un destino che la stessa mano, d'uomo diverso, forse donna, cambiandone il significato,di morte inequivocabile, ne ha mutato la semplicità intrinseca, scelta che possa non essere che una condanna. Una meccanica letta, analogica, riflesso, luce, non sono che dipinti sul deserto, tracce volute nella profondità, fumo che giace.
Non riesco a smettere di pensare all'incredibile inconsistenza delle persone.
Cosa ti spinge ad essere?
Cosa sognavi?
Ragazza con i fianchi stretti.
L'iride riflessa nello specchio che la macchina fotografica rende immortale esita consapevole del suo nerissimo centro.
Non riesco a smettere di pensare ad una fredda determinazione.
Alla programmazione ad oggetti, arte interpretata che descrive un universo che risponde a regole prime, crea oggetti dall'astrazione di un'idea.
La prima regola è l'equilibrio straziante di uno stallo, risolta nel fluido che permette al corpo di muoversi, flettersi.
La seconda è non parlare mai del Fight Club.
Sento finalmente quest'angoscia diegetica, che ciclicamente mi attanaglia le viscere, svanire. Sono sempre più sconcertato nel notare che il minimo comune multiplo di questo lento tornare a galla è da sempre una mesta solitudine fatta di alcool e di sogni inquieti, di pagine scritte a metà e discorsi lasciati cadere; discorsi poi ripresi involontariamente, da voci che non ti aspettavi o da una carezza che non avevi chiesto mai.

In borsa ho una copia di Underword e come sempre l'eresiarca dell'apò, dietro suonano redivivi i Blind Melon che un amico mi  ha fatto notare che sarebbe il caso di riascoltare. Intanto soppeso quanto sia possibile tornare indietro, sempre più convinto che non lo sia, che tutto proceda comunque, che il ritorno non sia altro che l'ennessimo inganno che ci confessiamo in segreto solo per rendere tutto un po più sopportabile.
Come se fosse possibile avere una seconda possibilità.

Grullerie da zingaro

L'erede non ha che un nome che inizia per vocale.
La grida.
Aieoooooueeeeooo.
Imprime con i gesti
forma al vento.
Esprime l'erede
danzando d'eterno
un infinito movimento.
Respira
ma senza succhiarsi il fiato
AaaahhhaahhaA
l'aria che implode prima di uscire
come in attesa il canto.

Zingari scalzi
prescelti ignari
certi d'essere
animali.
Vergini calde
uomo ansimante
cane che abbaia,
ventre.
Urlo che appaga
senso, luce.

Rima attesa
e salto ignaro
e ressa di corpi
e invoca la passione, l'aria
ruba forma al vento
imprime al fiato il canto.

AieoooooueeeeooO!

Ruba un istante
della danza un passo
scalzo sulla terra
fuoco
grida
vita e lo zingaro ride in strada.
Canta.

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