sabato 14 agosto 2010

Il viaggiatore eterno ( solamente un altro impiccato)


L'impiccato si guarda i piedi. Anche quando sta per iniziare la tempesta. Il vento gli alza la polvere intorno. Sotto. Non ci sono passi che l'hanno portato li. C'è da sempre.
In effetti non c'è gran che da guardare: qualche sasso, il terriccio secco, i soliti scarafaggi. Anche quando sta per iniziare a piovere. L'impiccato non alza lo sguardo, si guarda i piedi. Mentre le prime gocce pesanti schiantano la secchezza del legno del patibolo colano rigagnoli di fango.

Lo sconosciuto s'avvicina, calza stivali, gli chiede, con la voce di chi viene da mille presenti, Quale la colpa che ti condannò alla forca, che trasformò le carni che un tempo ti fecero uomo nell'ultimo segnale che delimita questa landa desolata. L'uomo che parla indossa il vigore del maschio che impugna la fune, le spalle larghe di chi conosce la terra, le mani di chi per tutta la vita l'ha lavorata. Porta in fronte il marchio nero, da tempo l'azzurro ha lasciato i suoi occhi.

Ma l'impiccato si guarda i piedi. Anche mentre l'acqua gli scorre copiosa ai lati del capo chino.
Non può rispondere perchè ai morti è negato il fiato, e come solo i morti e i pazzi e i cani sanno, solo il vento può condurre la sua risposta. Avrebbe la voce rotta di nostalgia: per la moglie, per il figlio, lasciati di la dal velo che separa i mondi.
Sono stato giudicato come ladro e appeso a questa gruccia, i polsi tagliati perchè il sangue possa sgocciolare libero sulla terra dura, la gola stretta dalla corda quanto basta per soffocare, appeso come la selvaggina che osai cacciare nella terra del mio signore: pasto dei corvi come il cervo lo fu della mia famiglia vorace. Mio è il destino della preda che il signore mio mai avrebbe sfamato ma che di questo macello saziò invece la propria rabbia.

Lo straniero ha sentito alzarsi il vento. Al di la del corpo straziato s'intravedono i contorni di un abitato, il fumo dei camini s'alza in mezzo alla pioggia incessante. Si passa la mano fra i capelli folti e neri prima di riprendere il suo viaggio in cerca di un posto dove passare la notte.
Ma l'impiccato si guarda i piedi. Anche mentre l'uomo con il marchio in fronte s'allontana. Lungo il sentiero. Che probabilmente sarà costretto a percorrere per sempre.

C'è un uomo immobile appeso al vento
pochi chilometri fuori città
sopra, le nuvole senza vento
specchio alla gente che se ne va.

C'è un uomo immobile appeso al vento
pochi chilometri fuori città
 come un sospiro, senza voce
trova fra i corpi la pace
parla coi corvi dalla croce
prega un sospiro di pace.

4 commenti:

  1. Toccante, l'ho letto tre volte, in qualche modo mi rispecchio in tutto ciò, mi piace!

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  2. Grazie Cedro e scusa per la latenza della risposta, sono stati giorni da cani ultimamente! Mi fa molto piacere il tuo commento anche se, rileggendo il testo, mi rendo conto adesso quanto sia pieno di refusi, quindi coglierò l'occasione anche per risistemarlo un po...
    Un saluto dalla locanda al confine dei mondi.

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  3. Non sistemarlo, è bello così.
    Mi emoziona.
    Chi è il condannato? L'impiccato o l'uomo con la fronte marchiata per sempre e sempre solita a solcare percorsi decisi dai gesti prestabiliti?

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  4. il condannato non è, se non un tributo, l'uomo marchiato invece si, ma la sua condanna è il vivere per sempre.

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