È di un’accecante inutilità la prima visione, quando finalmente torni indietro, la tridimensionalità del colore, l’ampiezza e la forma dell’abbagliante consistenza di una realtà che per un attimo diventa comprensione del tutto quanto della pochezza di essere.
Lo sbadiglio arruffato d’ossigeno d’un corpo che torna.
Vibrante e chimico.
Sufficiente e preciso.
Seduto, calmo, da qua posso sentir tradotto lo strappo della tua femminilità, della dipendenza, della carne grigia, fibrosa.
Furono le tue mani d’acqua e argilla che plasmarono nuovamente il mio odio, prima di cadere nell’innocuo misurasti il mio spirito dal polso all’anulare, negando errore, come una tela, una malattia, tessuta e luminosa come filaria, intorno al mio cuore, una tela di nervi lucida e nuova.
Metallo urlante. Un lucido specchio la materia, e tutto è più leggero di te.
Accompagnato dal mio nuovo splendido corpo non faccio alcuna fatica nel mettermi nei tuoi panni perché ogni disperazione ed insicurezza, ogni paura del conseguente, la dimenticanza e la boria che cavalca il momento a pelo, l’arroganza imprecisa dell’eletto, l’incuria bestiale del cane alfa quando il mite retrocede, non è che la prima scelta sbagliata della nuova carne. Non dell’animale che sgomita e si nasconde in branco per ritrovarsi.
Il sangue che ribolle lontano dalla normalità che tanto conforta è la chiave che apre la porta dell’evoluzione.
Cos’è l’insoddisfazione che ti marchia la fronte?
Come il primo uomo.
Non Adamo. Scelse di combattere arrogandosi il diritto di essere.
Contro il padre.
Necessariamente.
Risalita e caduta. Dipendenza. Non esiste sostanza che possa straziarti le vene, non è che la condanna che meriti, un’altra catena che l’uomo pavido ti propose perché l’eternità dorata nascosta sotto il tuo seno esiguo finga di assomigliare alla triste rassegnazione del procreare, promuoversi, carpire, morire.
Vorrei poterti toccare. Rendere adesso le palme delle mie mani lisce come le tue che ricordo. Accarezzarti la schiena perfetta sussurrando la poesia del viaggiatore eterno, del primo apolide. Orme nel deserto che non hanno storie da raccontare ma che aspettano il canto del vento per essere portate via.
La prima scelta.
È nel tuo prossimo risveglio che voglio credere, quando nuovamente l’ossigeno, franando, in frammenti, da questa realtà fragile ti esploderà nel petto come una rabbia incontenibile. Femmina finalmente. Incarnazione caotica di una celebrazione fertile e violenta. Menade di nessun dio. Furia primigenia senza lirismo viva.
L’ossigeno che torna.
La realtà fratturata che vivendo imparasti ad aggiustare, adesso senz’importanza alcuna piegata al tuo volere.
Conscia della tua forza. Prima.
Un canto che non osai mai, di carne fraterna.
...mi piace!..le parole, specchio dell'anima!!
RispondiElimina.. mi hai fatto pensare a Lacan, devo assolutamente approfondire il suo pensiero perchè forse può essere la chiave di volta per il mio futuro incerto.
ciao, vecchio cataplasma!
PS:per quanto possano essere specchio dell'anima, c'è sempre quel qualcosa di impercettibile ma infinitamente profonda
che è propria (proprietà) dell'altro!
e ridaje!
RispondiEliminala chiave è l'altro (il gemello), che vorremmo salvare (salvarci) perché specchiati in esso ci riscopriamo per la prima volta(animali) puri, perdonabili ( evolubili [questa l'ho inventata io])
grazie per il commento, aggettivazione a parte
Ps. non c'è salvezza.
..mi chiedo se è l'altro "in te/da te"
RispondiElimina...raggiungere il primo implica un buon grado di consapevolezza (impossibile, in quanto esperenziale e non innata), mentre il secondo può essere un sentiero da seguire per raggiungere il primo e per far decadere i nostri "schemi" poco funzionali! ;)
..concordo sullo scoprirsi"puri, perdonabili e volubili" (ottima invenzione)..forse l'ultimo concetto contiene i primi due!
Buon lavoro, uomo aitante!
ps: ma non mi piace quest'aggettivo!..uffàà, io ho una sorta di venerazione per l'anzianità (saggezza )... :P
....ahh, per me c'è salvezza (tanto per essere concordi)!
Sei anonima è maleducazione
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